Lollove è un villaggio di epoca medievale che ha conosciuto il suo maggior splendore negli anni 50, anni in cui il villaggio è arrivato a contare circa 540 persone. Le principali fonti di ricchezza del paese erano prettamente l’agricoltura e l’allevamento, principalmente di pecore, maiali selvatici e vacche, oltre la gran produzione di miele e olio.
La continua mancanza di acqua nella rete, la totale assenza di fogne ma soprattutto, le corse degli autobus sempre più rare e dagli orari sempre più scomodi, non hanno fatto altro che spingere gli ultimi giovani del paese a trovare una fissa dimora altrove, al fine di ottenere una maggiore comodità e disponibilità di servizi. A questi va aggiunto il boom del polo industriale di Ottana oltre che una Nuoro sempre più in crescita capace di offrire impieghi ben più diversi rispetto alla monotonia propria della campagna.
Per queste ragioni scoppiò una seria epidemia di partenze che vedeva protagonisti grandi gruppi di giovani lollovesi, creando dunque le giuste condizioni per l’abbandono e lo spopolamento. Si passò così da 2 scuole (materna e elementari), una caserma dei carabinieri, due bar, un tabacchino, un piccolo negozietto di generi alimentari e un telefono, alla quasi totale assenza di servizi e di segnale. Piano piano negli anni molte dimore hanno perso identità, tra tetti crollati, ciottolato disgregato, pali della luce non funzionanti, campi incolti e cani randagi. C’è chi dice che tutto ciò sia dovuto da un’ antica maledizione lanciata sul villaggio anni addietro. Chissà!
Credenze a parte, queste sventure hanno contribuito a fare in modo che il villaggio si preservasse nel tempo, facendo sì che dei fattori apparentemente negativi, quali l’abbandono e lo spopolamento, possano invece divenire un’opportunità da poter sfruttare per poter riscrivere il futuro, ricreando un economia fiorente nello stesso. Forte di un nome stranamente internazionalizzato e richiamante l’amore, Lollove ad oggi è capace di attrarre un flusso di viandanti curiosi il cui unico intento risulta essere quello di potersi “perdere” tra quelle strette viuzze, accompagnati dal suono delle aquile reali, dai campanacci delle pecore e da un silenzio quasi assordante.
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